Quando ho cominciato a lavorare
per i giornali locali non mi avevano spiegato che essere una freelance può
talvolta limitarsi alla parola free (gratis) in inglese. Quando guadagno più
di 20 euro al pezzo mi posso considerare fortunata, ma non mancano i pezzi a
meno di 10 euro, senza contare le uscite, quelle che faccio prima che i
redattori si accorgano che la presunta notizia era solo una bufala e mi pagano
3 euro lordi per il disturbo. Così, dopo essere andata a Ponte Vattelapesca faccio
dietrofront tornando alla mia dolce casina ad aspettare di avere più fortuna
con il prossimo servizio (e sperando di non prendere nuovamente un granchio).
Queste sono le situazioni che spesso mi trovo ad affrontare facendo la
free-lance. Non che io me la sia cercata, è cominciato tutto per caso, quando
ho cominciato a collaborare con i primi giornali della zona. Il primo, se non
erro, era un mensile sugli stili di vita green, sull’ecologia, il risparmio
energetico, e chi più ne ha più ne metta. Quando qualcuno pensa a questo
mestiere rievoca situazioni avventurose e scoop sensazionali. Bé, niente di
tutto questo in realtà succede: il più delle volte bisogna correre da un punto
all’altro della città o anche fuori per reperire le notizie, serve poi il tempo
per scriverle e inviarle in redazione. Se tutto va bene nel giro di poche ore
avrò confezionato la mia strepitosa notizia. Ho provato parecchie volte a
cambiare mestiere pur rimanendo nel ramo della comunicazione o dei beni
culturali, come quella volta che ho contattato un’agenzia di eventi, salvo poi
rinunciare a malincuore all’allettante proposta di uno stage full time non
retribuito con un’ora di pausa, senza buoni pasti e senza parcheggio gratuito.
Mi sono quindi buttata sui beni culturali: a circa 40 minuti da Bergamo un
museo gestito da volontari sembrava proprio l’occasione per fare un po' di
esperienza, ma purtroppo neanche qui c’era la possibilità di retribuzione, si
trattava di volontariato. Ecco, tutte le volte che cerco lavoro mi propongono
questa storia del volontariato, come alla Caritas o all’oratorio. Bé, se avessi
voluto fare la volontaria mi sarei probabilmente rivolta a questi enti e non a
delle aziende e così ho deciso di continuare con le mie collaborazioni nella
speranza di accumularne tante da poter vivere con la Partita Iva. Eh si, mi è
toccata aprirla la partita Iva e da quel giorno non me ne sono più liberata.
Come lavoratrice autonoma sono imprenditrice di me stessa, i contributi si,
quelli me li devo pagare da me e se decido di andare in vacanza o se mi ammalo
mi tocca lavorare di più dopo per far quadrare i bilanci. Ma di questi tempi ci
si deve adattare, si sa, i periodi migliori arriveranno…
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